Mentre in Spagna ce ne sono tantissimi già da diversi anni, in Italia il primo Cannabis Social Club è nato nel 2020, ma si tratta di un’associazione che si occupa di veicolare solo ed esclusivamente cannabis medica e aiuta i pazienti a ottenere più facilmente i farmaci di cui ha bisogno, dunque non un vero e proprio Cannabis Social Club, che promuove anche l’utilizzo di cannabis a scopo ricreativo. Cosa sono quindi questi club e come possiamo farne parte?
In questo articolo proveremo a rispondere, ecco che cosa vedremo:
- Cos'è un Cannabis Social Club?
- Come nascono i cannabis social club?
- Come si può accedere?
- Essere socio di un social club
- Com'è possibile?
- Vantaggi di un social club
- Coma faccio ad aprire un CSC?
- Coffe shop Vs Cannabis Social Club
Che cos'è un cannabis social club
Di tanto in tanto, tutti pensano a quanto sarebbe bello andare via, mettere le cose importanti in qualche scatolone, regalare il resto ad amici e conoscenti, prendere un aereo e cambiare vita.
C'è chi pensa a destinazioni esotiche, chi sogna un chiringuito sulla spiaggia e chi invece vorrebbe gestire un impianto sciistico lontano da infradito e costumi da bagno. C'è anche chi sogna di trasferirsi in un posto in cui poter svolgere il lavoro dei proprio sogni: diventare un rivenditore autorizzato di cannabis.
Fino a qualche tempo fa questa sarebbe stata fantascienza pura. Solo Amsterdam dava la possibilità di vendere legalmente la cannabis in Europa e nella sola città olandese sono già attive 241 licenze di coffee shop. Bisogna dire che l'Olanda non è però il posto migliore dove trasferirsi se si cerca un posto al sole. Il clima è incerto, c'è sempre molto vento e il sole va e viene di continuo.
Da qualche anno, anche la Spagna si è aggiunta alla lista dei paesi che permettono la vendita di marijuana, e ha attivato una rete capillare di distribuzione della sostanza attraverso i cosiddetti “cannabis social club”.
Un cannabis social club, spesso chiamato con il suo abbreviativo CSC, è un’associazione senza scopo di lucro, che basa la sua attività sull’auto coltivazione della cannabis. La principale finalità del club è quella di contrastare il mercato nero, regolamentando il consumo di cannabis tra i soci all’interno del club.
Il primo Cannabis Social Club è nato in Spagna nel 2005, quando qualcuno si rese conto del vuoto normativo che regolamentava il consumo di cannabis. In Spagna è infatti vietato il consumo di cannabis in luoghi pubblici ed è vietato lo spaccio, non c’è però alcuna normativa che si esprima in merito al consumo di cannabis nel privato e in merito alla quantità di coltivazione concessa per uso personale.
Proprio sulla base di questa assenza di regolamentazione precisa, insieme al diritto della libertà di associazionismo, sono nati i CSC, prima in Spagna, poi anche in Portogallo e in Germania.
Di fatto si tratta di associazioni no profit regolarmente costituite, aventi uno statuto, un’organizzazione interna e grande apertura al dialogo con le autorità, che hanno l’obiettivo di soddisfare in modo legale il fabbisogno di cannabis per uso personale dei propri soci.
In questo momento la cannabis in Italia è di nuovo argomento di discussione, una delle ultime proposte per la legalizzazione presentata al Parlamento, prevede proprio l’introduzione del modello del Cannabis Social Club (anche per l’uso di cannabis a scopo ricreativo), che ben si adatterebbe alle esigenze italiane.
Si potrebbe pensare di aprire un CSC con la cannabis light ma al momento la normativa non è ancora chiara neanche in questo senso.
Come nascono i cannabis social club?
I primi cannabis social club in Spagna sono stati inaugurati nel 2005: sono stati la sfida di ENCOD, European Coalition for Just and Effective Drug Policies.
Organizzazione non governativa che aveva l'obiettivo di definire e promuovere lo sviluppo in tutta Europa di un modello regolamentato. Non commerciale e riservato esclusivamente agli adulti di coltivazione collettiva della cannabis.
La ENCOD vede nei club il miglior modello per la produzione e la distribuzione legale di cannabis. Tra i principi di questi social club, si trovano l’imprescindibile status di organizzazione no-profit e la produzione di cannabis limitata alla quantità necessaria a coprire le esigenze personali dei membri.
I cannabis club sono quindi dei circoli privati, giuridicamente autorizzati ad accogliere i fumatori di cannabis, purché siano soci del circolo. I CSC sono associazioni no-profit regolarmente costituite con uno statuto, un’organizzazione interna e la massima apertura al dialogo con le Autorità.
Come si può accedere
Per quanto riguarda il primo Cannabis Social Club aperto a Milano nel 2020, è riservato solo a pazienti in possesso di una ricetta per cannabis medica, perché al momento non prevede l’utilizzo di cannabis a scopo ricreativo.
Per quanto riguarda i club spagnoli o portoghesi, l’ideale sarebbe farsi presentare da un amico. Molti club applicano restrizioni rigide per l’accesso, soprattutto per i turisti. Non vale il domicilio temporaneo presso un albergo, ma potrebbe valere in alcuni casi il domicilio presso un alloggio di Airbnb. Tuttavia, proprio per evitare un accesso incontrollato da parte dei turisti, molti club hanno una procedura di accesso di due settimane.
Se avete intenzione di trasferirvi, non avrete problemi una volta sul posto, a iscrivervi a un cannabis social club. Se andrete in vacanza per qualche giorno, il consiglio è quello di scrivere una lettera sincera ai CSC delle zone che vi interessano. Raccontate chi siete, cosa fate, e dite che vi piacerebbe poter consumare un modesto quantitativo di cannabis nel loro paese senza rivolgervi al mercato nero.
Attivandovi per tempo le risposte non tarderanno ad arrivare.
Essere socio di un cannabis social club
Far parte di un Cannabis Social Club non significa solo divertirsi e consumare cannabis a scopo ricreativo, i soci hanno delle responsabilità e delle mansioni precise e devono assicurarsi che sussistano tutte le caratteristiche di un CSC vero e proprio.
Vediamo più nel dettaglio:
- Un Cannabis Social Club deve avere tutte le caratteristiche delle associazioni no profit. In primo luogo, quindi, un club deve essere legalmente costituito e registrato all’ente di riferimento, in Italia è l’Agenzia delle Entrate. In secondo luogo, deve essere redatto uno statuto, al cui interno devono essere specificati tutti gli obiettivi e le finalità dell’associazione. Deve poi essere costituita un’assemblea e devono essere nominati un Presidente, un segretario e un tesoriere. L’organizzazione interna al club avviene su base democratica, tutti i soci hanno il diritto di partecipare alle assemblee, che devono essere regolarmente verbalizzate. Ogni spesa, entrata o uscita va documentata insieme alle attività che riguarda il consumo e la resa della produzione. Qualsiasi “utile”, quindi qualsiasi guadagno derivato dal club, non può essere ripartito tra i soci, ma va lasciato nella cassa comune e usato per attività a favore dell’associazione. E ancora, come per tutte le associazioni no profit, è necessario mettere a disposizione libro dei soci e bilancio contabile perché possano essere consultati pubblicamente, anche dalle autorità competenti.
- All’interno del cannabis social club, sono i soci stessi a coltivare la propria erba in quantità uguali a quelle che corrispondono all’uso personale giornaliero per ciascun socio. (parliamo di circa 5 grammi al giorno per socio fino a un massimo di circa 150 Kg). È possibile coltivare una piccola quantità extra per le emergenze (furti, raccolto andato a male). Il consumo di cannabis è possibile solo all’interno del club e non è possibile vendere l’erba prodotta né dentro né fuori dal club. Ogni socio versa un contributo annuale per garantirsi l’approvvigionamento alla sua parte d’erba.
- È importante che i soci di un Cannabis social club si impegnino a garantire determinati standard di qualità dal punto di vista della coltivazione, che deve essere biologica e priva di pesticidi chimici.
- In quanto associazione no profit, un Cannabis Social Club non si limita ad essere un luogo in cui è possibile consumare cannabis a scopo ricreativo, è anche un luogo di aggregazione e perché no un polo culturale dove incontrare nuove possibilità. Ai soci spetterà decidere quali attività inserire nel proprio calendario, Molti club scelgono di inserire tra i loro obiettivi attività collaterali per i loro soci. Alcune hanno lo scopo di informare sul mondo della cannabis medica, altre di sensibilizzare i più giovani ai rischi delle droghe vendute dal mercato nero. Altri ancora organizzano corsi di cucina, per esempio panificazione con farina di canapa o pasticceria con cannabis e semi di canapa. C’è chi organizza corsi di cosmesi, per offrire la possibilità di imparare a realizzare creme e lozioni a base dei principi attivi della cannabis.
- Senza alcun dubbio, per evitare di avere problemi, è fondamentale che i soci si assicurino che il club si trovi lontano da scuole o parchi per bambini.
Come è possibile?
Oggi si gode dei frutti del duro lavoro di molte persone, che hanno investito davvero tanto nella battaglia per la legalizzazione della cannabis.
Nel 1999 la giunta dell’Andalusia, regione all’estremo sud della Spagna, voleva fare un po’ di chiarezza sulla questione Cannabis. Volevano scoprire se, senza infrangere la legge, un medico avesse potuto prescrivere cannabis terapeutica e un privato cittadino avesse potuto coltivarla e consumarla in privato, anche per scopi ricreativi.
L'incarico di fare chiarezza viene dato a due avvocati dell’istituto Andaluso di Criminologia, professori di diritto penale all’Universitá di Malaga: Juan Muñoz e Susana Soto.
Il risultato del loro lavoro è stato pubblicato nel 2001 con il titolo: “Uso terapeutico della Cannabis e creazione di locali per l’acquisizione ed il consumo: fattibilità legale”. Passerà alla storia come “Rapporto Muñoz-Soto”: non è una legge, non è un decreto e nemmeno un parere vincolante. I due avvocati hanno semplicemente analizzato la legge, la Costituzione e le precedenti sentenze del Tribunale Supremo Spagnolo.
Secondo la costituzione spagnola, ciascuno in casa propria può fare quello che gli pare, come estrema forma di tutela della libertà del cittadino. Anche consumare marijuana e persino coltivarla per uso personale. La costituzione, inoltre, difende il diritto dei cittadini di creare associazioni di qualsiasi tipo, purché non vadano contro la legge.
Ricapitolando, qualsiasi cittadino può promuovere la nascita di un’associazione e può coltivare marijuana in casa propria per uso personale. Quindi, se da un lato posso coltivare marijuana, e dall’altro posso associarmi con altre persone, potrò anche associarmi per coltivare marijuana.
I due avvocati Muñoz e Soto hanno scoperto che, in teoria, non era contro la legge creare un’associazione con lo scopo di coltivare e consumare collettivamente la marijuana.
Inoltre, scrivevano gli avvocati, l’associazione ha facoltà di gestire un locale in cui:
- Dispensare marijuana, ai soli soci dell’associazione;
- Dispensare marijuana al consumatore non socio solo una piccola quantità, così da non poterla rivendere a scopo di spaccio;
- Fumare marijuana;
I due avvocati aggiungono, inoltre, che é meglio che non ci sia vendita e/o acquisto della sostanza. Insomma, da quel momento la cannabis entra in una zona grigia dove nessuno può più punire i consumatori.
E dal 2001 spuntano letteralmente come funghi club sociali di cannabis in ogni punto della penisola spagnola e delle Isole Baleari e Canarie. Solo in Catalogna sono registrate 400 associazioni cannabiche, delle quali 200 a Barcellona.
All'inizio i club hanno avuto molti problemi con la polizia, ma col tempo la situazione é stata chiarita a suon di sentenze, condanne e assoluzioni.
Vantaggi di un social club
Il primo vantaggio di un Cannabis Social Club nonché il motivo per cui questa formula ha funzionato non solo in Spagna, ma anche altrove, è che costituisce un nuovo modello di legalità, che si oppone drasticamente al mercato nero, tutelando la sicurezza e la salute dei consumatori di cannabis che diventano soci.
Non solo quindi si evita di foraggiare il mercato nero, ma c’è la possibilità di controllare il proprio raccolto e occuparsene personalmente, sapendo esattamente cosa si sta fumando.
Molti club, inoltre, oltre alla possibilità di consumare cannabis a scopo ricreativo al proprio interno, offrono diverse attività, sia culturali che manuali e in alcuni casi anche professionalizzanti.
Avere un luogo del genere nella propria città per molti potrebbe significare un consumo di cannabis sfrenato e incontrollato, ma non è così. Un Cannabis Social Club attirerebbe i consumatori abituali e sicuramente molti giovani, che, come è avvenuto in Spagna e in Portogallo, verrebbero informati sulla cannabis e le sue potenzialità ma anche sulla pericolosità reale delle vere sostanze stupefacenti.
Riassumendo, ecco quelli che senza alcun dubbio, sono i vantaggi di un Cannabis Social Club:
- è un nuovo modello di legalità
- contribuisce alla lotta al mercato nero
- garantisce una coltivazione biologica e rispettosa dell’ambiente
- ha una filiera controllata
- offre elevati standard di qualità del prodotto
- nasce per diventare centro di aggregazione, formazione e informazione culturale
- contribuisce a valorizzare legalmente la cannabis e farla conoscere all’opinione pubblica per il suo potenziale
Come faccio ad aprire un CSC in Spagna?
Presentazione dell'iniziativa
Il primo passo da compiere è la presentazione della propria iniziativa attraverso una conferenza stampa e/o la pubblica diffusione della notizia. Il modo migliore per farlo è cercare di coinvolgere una personalità nota, per godere di una adeguata visibilità e ridurre il più possibile il rischio di essere perseguiti.
Sempre nell’ambito della presentazione, è importantissimo sottolineare che l’unico scopo del Cannabis Social Club sia quello di intraprendere la coltivazione per il consumo personale dei soci adulti e per offrire un’alternativa legale, sicura e trasparente al traffico illecito di stupefacenti.
Organi dell'associazione
Poi bisogna pensare alla struttura del CSC. Il primo passo è la proclamazione dell'Assemblea Costitutiva, all'interno della quale devono esserci almeno tre soci fondatori che compongono il CDA: un presidente, un segretario e un tesoriere.
Gli statuti, precedentemente redatti, devono essere approvati insieme all'atto costitutivo, che sarà firmato e ratificato da tutti i soci. In esso è specificata anche la denominazione o ragione sociale. Dopodiché, bisogna presentare i documenti al registro della Comunità Autonoma di appartenenza per ufficializzare l'associazione.
Iscrizione dei soci
Una volta che l'associazione è stata creata, bisogna pensare agli associati. Per aderire occorre essere maggiorenni e compilare una richiesta di iscrizione, che prevede il versamento di una quota associativa, oltre a dichiarare di essere consumatori abituali di cannabis, di voler fare parte dell'associazione e di non avere precedenti penali legati a reati contro la salute pubblica.
La parte più importante dell'iscrizione è la dichiarazione della previsione di consumo. In essa il socio definisce approssimativamente la quantità di marijuana che consumerà al mese: la somma delle previsioni di consumo dei soci legittima l'associazione a coltivare e a detenere marijuana per il quantitativo complessivo richiesto dai soci.
Produzione
L'associazione deve autoprodurre la cannabis consumata dai propri soci in base alla somma delle previsioni di consumo. I CSC che non dispongono dei mezzi per autoprodurre la propria marijuana ricorrono all'acquisto congiunto; a nome dei soci, il Consiglio di Amministrazione acquista la cannabis da terzi.
L'acquisto congiunto è, così come la produzione, la somma delle previsioni di consumo. La previsione massima di consumo è limitata a 60 grammi al mese per socio.
Sia che la marijuana provenga dall'auto-approvvigionamento, sia che provenga dal mercato nero, si dovranno rendere noti ai soci i prezzi di produzione o acquisto con la massima trasparenza. Al tempo stesso, il prezzo finale del prodotto deve essere debitamente giustificato e scorporato.
Funzionamento
L'associazione non deve diffondere né promuovere il consumo di cannabis, deve garantire un'organizzazione democratica nella quale sia garantita la partecipazione dei soci.
Come accade in tutte le associazioni, alcuni soci sono più coinvolti rispetto ad altri, ma tutti devono essere sempre informati sulle assemblee e sulle decisioni. Tutti i collaboratori, anche soci, devono essere contrattualizzati e retribuiti adeguatamente, secondo i termini di legge.
Coffee shop Vs Cannabis Club
Coffee shop e Cannabis Social Club rappresentano due modelli diversi con cui il consumo di cannabis è stato integrato nella vita dei cittadini di due Paesi europei, da un lato l’Olanda con i Coffee Shop dal 1967, dall’altro la Spagna con il primo cannabis social club nel più recente 2005.
I Coffee Shop sono nati nell’Olanda degli anni 70 per contrastare il mercato nero e l’uso di droghe pesanti. A differenza dei Cannabis Social Club, che sono delle associazioni no profit e dei centri di aggregazione, un coffee shop è un vero e proprio negozio, con tanto di vetrine. All’interno è possibile acquistare ganja e fumo e in alcuni casi (dove lo spazio lo consente) anche consumarla sul posto bevendo qualcosa di rigorosamente analcolico.
Non è possibile acquistare più di 5 grammi a persona all’interno di un coffee shop e la vendita è vietata ai minori di 18 anni. Proprio come per i cannabis club, queste attività devono sorgere a distanza dalle scuole e da luoghi frequentati dai bambini.
Il Cannabis Social Club coltiva autonomamente la propria erba e garantisce un prodotto coltivato in modo biologico. I Coffee shop acquistano da negozi terzi e non sempre la provenienza della sostanza è nota e certificata.
A differenza del Cannabis Social Club, il cui accesso è riservato ai soci ed è regolamentato da un tesseramento, in un coffee shop può accedere qualsiasi maggiorenne.
Come abbiamo visto, per un turista straniero, può essere molto difficile accedere ad un club in Spagna. Senza alcun problema può accedere invece ad un coffee shop.
Questo fenomeno di turismo di massa finalizzato al consumo di cannabis ha investito Amsterdam e come l’articolo di questa testata giornalistica sottolinea, ha generato nelle ultime settimane, preoccupazioni da parte della Sindaca olandese, che in tempi di pandemia, di fronte a una città dopo tanto tempo svuotata dai turisti, ha preso coscienza della necessità di rivedere il modello coffee shop e intende procedere con forti restrizioni per quanto riguarda l’accesso dei turisti.
Questa è un’ulteriore dimostrazione di come in effetti il modello del Cannabis Social Club risulti in questo momento storico più idoneo a monitorare l’utilizzo della sostanza e a promuoverne un uso più consapevole senza cadere in eccessi.
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