Coltivazione canapa

Si può morire per uno spinello?

Verità e bugie sui rischi della cannabis

L'uso di cannabis è un tema molto controverso, soprattutto per diffusissime opinioni contrastanti sulla questione. C'è chi la ritiene una droga vera e propria, da assimilare ad eroina e cocaina, c'è chi pensa che sia una cosiddetta “droga di passaggio”, che porta in poco tempo ad un upgrade con sostanze più pericolose, c'è chi pensa che possa creare danni anche solo dopo un tiro. Ci sono poi anche opinioni tolleranti, che prendono in considerazione gli studi scientifici e l'esperienza diretta dei molti consumatori “legali” degli stati che hanno detto sì alla cannabis. 

Di fatto, la ricerca scientifica continua a produrre studi e ricerche che vanno in una direzione estramante positiva: secondo la scienza la cannabis avrebbe moltissime potenzialità curative, si rivelerebbe un prezioso alleato nel trattamento di molti disturbi psicologici e nella cura di patologie della pelle. Di certo, ci sono molte sostanze più pericolose della cannabis che sono vendute come il latte o il pane, prime tra tutte alcool e sigarette. 


Cannabis e alcool: qualche dato

La cannabis è bistrattata e diffamata in ogni angolo del globo, da decenni. Nessuno, o comunque una percentuale molto inferiore di persone, si lamenta dei rischi degli alcolici e chiede che ne venga maggiormente controllato il mercato. Ma vediamo qualche dato, mettendo a confronto le due sostanze.

  1. Decessi legati all'utilizzo delle sostanza: nel 2016, nel mondo, sono morti più di 8 milioni di persone per cause legate all’alcol, mentre non ci sono morti documentate per il solo uso di marijuana. Uno studio durato oltre 16 anni, condotto su più di 65.000 americani e pubblicato sull’American Journal of Public Health, ha scoperto che gli utilizzatori sani di marijuana non hanno più probabilità di morire precocemente rispetto agli uomini e alle donne sani che non hanno fumato cannabis.
  2. La marijuana crea meno dipendenza dell'alcool. Circa la metà di tutti gli adulti hanno provato almeno una volta la marijuana, rendendola una delle sostanze illegali più utilizzate; solo una piccolissima percentuale di queste persone ne è diventata dipendente.

Uno studio del 2014, condotto su oltre 8.000 persone tra i 15 e i 64 anni, ha individuato una serie di comportamenti legati al rapporto con la droga. Di coloro che avevano provato la marijuana almeno una volta, “solo” il 9% ha ricevuto una diagnosi di dipendenza, mentre per l’alcol la cifra sale a circa il 15%. 

  1. Entrambe le sostanze creano problemi alla guida, ma l'alcool è il peggiore. Una nota di ricerca pubblicata dalla National Highway Traffic Safety Administration ha concluso che avere una quantità rilevabile di THC nel sangue non aumenta il rischio di incidenti stradali, mentre un livello di alcol nel sangue dello 0,05% o superiore aumenta le probabilità di causare un incidente del 575%. Tuttavia, la combinazione delle due sostanze ne amplifica i singoli effetti, aumentando anche i rischi legati alla guida in sicurezza. In ogni caso è bene non guidare se non si è completamente sobri.

È chiaro che la marijuana influisce sull'attenzione e che – al pari dell'alcool – non è la cosa giusta da assumere prima di mettersi alla guida; tuttavia, a differenza dell'alcool, non crea danni significativi sul lungo periodo, soprattutto se assunta in forme diverse dalla classica combustione. 



Cannabis e rischi polmonari

La cannabis brucia come il tabacco ed identici sono anche i risultati della sua combustione.  La combustione genera sostanze cancerogene che vengono assorbite dall'organismo; bruciando, le molecole della cannabis si scompongono e danno vita ai cosiddetti radicali liberi, che generano tossine molto dannose. Analisi mirate hanno dimostrato che il fumo sprigionato dagli spinelli contiene solo un 10% di cannabinoidi, mentre la parte rimanente è costituita da prodotti combustibili, tra cui i cosiddetti PAH, gli idrocarburi policiclici aromatici. 

La vaporizzazione è di certo la strada migliore, sia per tutelare la nostra salute che per essere sicuri di assumere la maggior quantità di principio attivo possibile. Con la vaporizzazione è possibile controllare la temperatura a cui la cannabis viene sottoposta, con il risultato di salvare buona parte di cannabinoidi e terpeni e di non sottoporre l'organismo a sostanze dannose.

Il THC viene liberato sottoponendo le infiorescenze a una temperatura di circa 157°, con il risultato di assumere circa il 46% della sostanza contenuta nell'erba vaporizzata. Contrariamente al fumo sprigionato dallo spinello, il vapore contiene circa il 90% di cannabinoidi e solo il 10% di altre sostanze, comunque meno dannose di quelle generate dalla combustione ad altissime temperature. 


Cannabis light e detrattori: uno studio fantasioso

La politica e molti genitori hanno espresso perplessità in merito alla vendita legale della cannabis light. Già ad aprile del 2018 il Consiglio Superiore di Sanità (Css) si è espresso negativamente sulle infiorescenze di cannabis light, facendo presente che – per quanto “light” – la canapa legale ha comunque una serie di controindicazioni. Il parere negativo del Css è motivato dall'assenza di studi a lungo termine, come sottolinea Sabina Strano Rossi, tossicologa forense dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. “Per questa ragione – sottolinea Strano Rossi – i potenziali rischi sono soprattutto per i bambini e i ragazzi, in cui lo sviluppo cerebrale è ancora in atto, e nelle donne in gravidanza.

Non avendo dati, non si può escludere, infatti, che un accumulo del principio attivo nel tempo possa agire a livello della struttura cerebrale, ad esempio diminuendo lo spessore della corteccia, deputata alle funzioni cognitive superiori. Altro aspetto, bisogna stare attenti ad assunzioni accidentali da parte di bambini molto piccoli, che possono causare un'intossicazione”.

È stato pubblicato uno studio che alimenta i dubbi sulla vendita legale della cannabis light, in una fase già molto complessa per i produttori e i rivenditori. Lo studio è stato coordinato dal dott. Giovanni Serpelloni, capo Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio e collaboratore del Dp Institute dell’Università della Florida. La ricerca Cannabis light extraction”, presentata a San Patrignano in occasione dei WeFree days dedicati alla prevenzione, mirava a scoprire se fosse possibile estrarre e concentrare il principio attivo contenuto della cannabis light in dosi sufficienti per ottenere un effetto stupefacente.

I ricercatori hanno acquistato i prodotti negli store e con l’ausilio di un estrattore domestico con gas butano sono passati alla sperimentazione. Risultato: «Partendo da dosi di materiale grezzo che oscillavano dagli 8 ai 15 grammi, siamo giunti ad estrarre un prodotto con concentrazioni superiori allo 0,6%, limite della legalità – spiega il dottor Serpelloni. Da calcoli successivi siamo arrivati alla conclusione che con 20-30 grammi di prodotto grezzo si può arrivare ad estrarre un concentrato resinoso di circa 25 milligrammi di principio attivo». 

Di certo il risultato dell'operazione è veritiero, ma acquistare 20 grammi di cannabis light per ottenere l'effetto stupefacente di un grammo di marijuana sarebbe realmente antieconomico, anche per i ragazzini più sprovveduti. 


Rischi in gravidanza 


L'uso di cannabis in gravidanza è stato ed è oggetto di molti studi, con cui gli scienziati sperano di mettere in luce i rischi per il feto e per la madre legati all'assunzione della sostanza. 

Gli effetti della cannabis sul feto sono talmente seri che ogni donna dovrebbe fermarsi a riflettere attentamente prima di consumare marijuana. Sembra che il THC interferisca in qualche modo sullo sviluppo del cervello: una ricerca canadese, condotta su bambini di 4 anni per 10 anni, ha rilevato che l'uso di cannabis durante la gravidanza influisce negativamente sulla memoria.

I figli nati da madri fumatrici hanno ottenuto punteggi inferiori nei test mnemonici. Tuttavia, nel complesso la loro intelligenza non sembrava aver subito danni. Quando i bambini sono stati esaminati nuovamente, all'età di 10 anni, hanno mostrato un tasso leggermente superiore di iperattività, disattenzione e impulsività.

Sebbene le evidenze riguardanti l'influenza della cannabis sullo sviluppo cerebrale del feto siano ancora da consolidare, i pediatri statunitensi sono convinti della necessità di «consigliare alle donne in gravidanza o che allattano di evitare la marijuana», come già fanno con il fumo e le bevande alcoliche. 

Lascia un commento

Tieni presente che i commenti devono essere approvati prima di essere pubblicati.

Questo sito è protetto da reCAPTCHA e applica le Norme sulla privacy e i Termini di servizio di Google.