Il dibattito sulla legalizzazione della cannabis è più vivo che mai: da qualche anno a questa parte si è aperta una fase nuova di consapevolezza e progresso. Il vento di cambiamento soffia già in molti paesi del mondo, che hanno scelto la strada della legalizzazione, mentre in altri l'abbandono del proibizionismo tarda a farsi sentire. Il tema è caldo, come calde sono le fazioni che si fronteggiano.
Da un lato ci sono i detrattori di qualsiasi forma di regolamentazione, che sostengono a gran voce la pericolosità della sostanza e i suoi rischi; dall'altro lato ci i sono pro-legalizzazione, che si appoggiano ai moltissimi studi scientifici che ormai hanno chiarito le grandi potenzialità della cannabis nel trattamento di disturbi dell'umore e malattie croniche.
Fino agli anni Sessanta, la cannabis in Italia non era considerata una droga, anzi, veniva spesso utilizzata in sostituzione del tabacco. L'Italia era il secondo produttore al mondo di canapa industriale, preceduto solo dall'Unione Sovietica, ed era il principale fornitore di fibra tessile derivata dalla canapa per la Marina Inglese. Sul finire degli anni Sessanta, con le proteste studentesche e la beat generation, la cannabis è diventata il simbolo dei giovani ribelli ed è stata riclassificata come sostanza stupefacente, per arginare il fenomeno e dare una stangata al suo utilizzo dilagante.
C'è da dire che la marijuana dell'epoca era molto diversa da quella in commercio oggi: le percentuali di principio attivo erano molto inferiori rispetto a quelle presenti nella cannabis “moderna” e anche i suoi effetti erano molto più contenuti.
La situazione attuale in Italia
Attualmente la situazione è molto varia: ci sono paesi che hanno completamente depenalizzato il possesso e il consumo di cannabis, altri che ne hanno persino liberalizzato il commercio, ci sono paesi in cui la sostanza è soltanto tollerata e altri in cui viene somministrata solo ai pazienti autorizzati per ragioni terapeutiche.
L'Italia nel 2016 ha scelto una strada intermedia, legalizzando la cannabis light. Si tratta di cannabis sativa privata del THC (tollerato al di sotto dello 0,2%) e ricca di CBD, principio attivo “buono”, responsabile degli effetti positivi della marijuana sull'umore e sull'organismo. La cannabis light venduta in Italia è prodotta sul territorio nazionale e le varietà che possono essere coltivate sono inserite nel Catalogo ufficiale della Comunità europea, che contiene 67 genetiche legali di cannabis light. Otto di queste sono italiane, e sono le uniche a poter essere coltivate nel territorio nazionale, dal momento che la legge 242/2016 vieta l'importazione e l'ibridazione delle piante di marijuana light.
Le ultime settimane sono state complicate sul fronte della cannabis light. L'attuale governo si pone in maniera più critica nei confronti della legalizzazione della cannabis light, sopratutto il Ministro dell'Interno Matteo Salvini. Il 30 maggio la Corte di Cassazione si è pronunciata definitivamente sulla soglia di tolleranza della quantità di THC presente nella sostanza venduta in maniera legale. Fino ad ora era richiesto che le infiorescenze contenessero THC in percentuali inferiori o uguali allo 0,2; era tollerata – al solo fine di tutelare i coltivatori – la percentuale dello 0,6, dal momento che è impossibile controllare in maniera così precisa lo sviluppo del principio attivo nella pianta in crescita.
La pronuncia della corte ha disposto che è vietata la vendita di oli, resine, inflorescenze e foglie di marijuana sativa, perché la norma sulla coltivazione non li prevede tra i derivati commercializzabili. Questo tipo di prodotti non potranno più essere venduti, a meno che non si dimostri che sono “privi di efficacia drogante”.
E nel resto del mondo?
La situazione nel resto del mondo è molto varia. Ci sono paesi come l'Uruguay, il Canada, la California e molti altri che hanno completamente legalizzato la produzione e la vendita di cannabis, che avviene sotto il pieno controllo dello stato. In altri – come l'Olanda e la Corea del Nord – la marijuana è tollerata, ma non legalizzata in maniera ufficiale e può essere venduta e consumata in esercizi commerciali privati. In Belgio, Francia, Italia, Spagna e moltissimi altri paesi la marijuana è regolamentata nella vendita e nella produzione ed è sottoposta a limitazioni di diversa entità legate alla quantità di principio attivo contenuto e alle caratteristiche psico-fisiche del consumatore.
Ovviamente in tutto il resto del mondo il proibizionismo la fa da padrone, con rischi elevatissimi per i consumatori e per coloro che vendono la cannabis sul mercato nero.
Legalizzazione o regolamentazione: cosa cambia?
C'è una grande differenza tra regolamentare e legalizzare in toto la cannabis. Regolamentare la produzione, la vendita e il consumo della cannabis vuol dire fissare limiti sia positivi che negativi sugli standard che devono essere rispettati per mettere in vendita la sostanza: lo stato mantiene il controllo sulla produzione e vigila sulla qualità della sostanza e sulla sua vendita.
In questo modo si arginano i rischi legati alla scarsa qualità e all'utilizzo di sostanze nocive, spesso presenti nella cannabis venduta illegalmente. Legalizzare la cannabis e liberalizzarne il commercio invece vuol dire permettere a tutti di poter coltivare la marijuana, con o senza autorizzazioni preventive, e di venderla e somministrarla in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
Di certo le due strade hanno implicazioni differenti e un differente impatto sul coinvolgimento dello stato nell'operazione. Il dato dai paesi che hanno optato per una rinuncia al proibizionismo è comunque positivo, sia per quanto riguarda la qualità della sostanza sia per l'impatto della legalizzazione sulla criminalità organizzata, che detiene l'esclusiva della vendita illegale.
Legalizzazione: più qualità, meno criminalità
Il proibizionismo ha molte conseguenze. Nel relazione annuale del 2015, la DNA - Direzione Nazionale Antimafia – affermava che la cancellazione del reato di produzione e vendita di droghe leggere – che rappresenta più della metà del mercato degli stupefacenti – genererebbe un risparmio di quasi 800 milioni di euro, in seguito alle minori spese tra magistratura, istituti di detenzione, ordine pubblico e sicurezza. Si tratta di un'enorme quantità di denaro, che potrebbe essere utilizzata nel contrasto delle droghe pesanti, come cocaina, eroina e droghe sintetiche.
C'è un altro dato molto importante, ed è una stima del “fatturato” del mercato nero della cannabis: secondo la Direzione Nazionale Antimafia ammonta a circa 30 miliardi di euro l’anno, pari a circa il 2% del Pil nazionale. Più della metà di questo importo è legata alla vendita di sola marijuana e suoi derivati. Fermare il proibizionismo e legalizzare la marijuana sarebbe una mossa storica per combattere con successo la criminalità organizzata.
C'è un altro tema molto importante legato alla legalizzazione della cannabis. In Italia, ogni anno, circa 5 milioni di persone fanno uso di hashish o marijuana e la acquistano sul mercato nero. In uno studio del 2016 l’università di Berna ha analizzato 191 campioni di marijuana sequestrati dalle forze dell’ordine sul territorio svizzero. La scoperta è stata preoccupante: il 91% di questi prodotti è “tagliato” con sostanze di vario tipo, allo scopo aumentare il peso dell’erba ed avere più profitti, ma anche per aumentare l’effetto psicotropo o per rendere più belli i fiori.
Nei campioni sono stati trovati ammoniaca, lacca, lana di vetro, piombo, alluminio, ferro, cromo e cobalto. Ovviamente fumare questi prodotti può causare gravi danni al consumatore inconsapevole; questi danni sarebbero evitabili se la cannabis fosse legale e lo stato vigilasse sulla sua produzione e ne controllasse la vendita.