Fino agli anni Settanta la cannabis in Italia era tollerata, non esisteva alcuna legge che la vietasse ed era fumata addirittura in sostituzione del tabacco, che all'epoca era più costoso dell'erba. Fino a quando il consumo di marijuana fu un fenomeno circoscritto non creò alcun problema, ma quando – negli anni Sessanta e Sessanta – divenne il simbolo dei giovani ribelli, il governo sentì il bisogno di un giro di vite. Fu così che l'Italia passò da essere il secondo produttore al mondo di canapa industriale – primo fornitore della marina inglese – a tagliare del tutto i ponti con questa pianta, che ormai era anche una voce significativa del bilancio nazionale. Da quando è stata resa illegale e assimilata ad altre sostanze stupefacenti, il dibattito sulla cannabis si è fatto sempre più intenso, ed ha raggiunto picchi esorbitanti in Italia negli ultimi due anni, grazie alla legalizzazione della cosiddetta cannabis light. Siamo nell'epoca delle legalizzazioni: Spagna, Canada e USA hanno fatto un grande passo, legalizzando la cannabis “tradizionale”, ma molti altri paesi – tra cui l'Italia – stanno iniziando a muovere i primi passi nel lungo cammino verso la legalizzazione totale. Di certo esistono dei rischi e bisogna fare attenzione, soprattutto a causa del crescente utilizzo di sostanze chimiche all'interno delle infiorescenze che, nei paesi in cui non è legale la vendita di marijuana, vengono “spacciate” sul mercato nero. È per questi motivi che sarebbe importante arrivare alla legalizzazione della cannabis, per rendere la filiera completamente controllata e controllabile, al fine di ridurre i rischi legati alla scarsa qualità o alla modificazione chimica della sostanza. In questo articolo vedremo insieme:
- Lo studio del King's College
- Quali sono gli effetti della cannabis sul cervello?
- Gli effetti sulla memoria
- Combustione e rischi polmonari
- Rischi in gravidanza
- Cannabis e ansia
Lo studio del King's College
Dopo le legalizzazioni di USA e Canada il dibattito è montato nuovamente e sono stati presentati moltissimi studi mirati a fare chiarezza sul tema. L'ultimo è stato portato avanti dagli esperti del King's College di Londra che hanno cercato di individuare le relazioni tra manifestazioni psicotiche e consumo di erba ad alto contenuto di THC. I risultati dello studio – pubblicato su Lancet Psychiatry – sostengono che l'assunzione quotidiana di THC in dosi massicce può aumentare il rischio di manifestare tendenze psicotiche.
La marijuana, per natura, contiene meno del 10% di THC. Oggi esistono molte genetiche che vengono modificate in laboratorio per potenziarne gli effetti, con il risultato di fumare un'erba molto diversa da quella che fumavano gli hippie degli anni Sessanta. Gli spinelli dell'epoca contenevano fino al 4-5% di THC, una dose leggera di cui godere in compagnia, mentre la cannabis di oggi sfiora anche il 40-50% di THC, con il risultato di provocare effetti completamente diversi sull'ignaro consumatore.
I ricercatori hanno preso in esame 11 siti tra Europa e Brasile e si sono concentrati su un campione di 900 pazienti – individuati in collaborazione con i servizi sanitari nazionali – che avevano avuto un primo episodio di psicosi tra il 2010 e il 2015. I pazienti sono stati sottoposti a un questionario, finalizzato ad accertare se e con quale frequenza avessero utilizzato stupefacenti nel corso della loro vita. Le analisi si sono concentrate quindi sull’utilizzo di cannabis, e i risultati sono stati comparati con quelli di un gruppo di controllo composto da 1.237 persone sane, paragonabili al campione per età e condizioni socio-demografiche.
I risultati hanno dimostrato che frequenza e tipologia, nel consumo di cannabis, sono associati a un maggiore rischio di problemi psichiatrici: fumare spinelli quotidianamente aumenterebbe di circa 3 volte la probabilità di un episodio di psicosi, mentre per un consumo quotidiano di cannabis “ad alta potenza” il rischio schizzerebbe in su di ben 5 volte.
Secondo lo studio, Londra e Amsterdam sono i luoghi in cui la cannabis ad alta potenza causerebbe i problemi maggiori: il 50% dei casi di psicosi nella capitale olandese e il 30% in quella inglese sarebbero legati alla cannabis con elevato contenuto di Thc. E non è probabilmente un caso – sottolineano i ricercatori – visto che in paesi come l’Italia, la Spagna o la Francia la cannabis con un contenuto inferiore al 10% risulta ancora piuttosto diffusa nel mercato illegale, mentre in Olanda e nel Regno Unito quella ad alto contenuto di Thc la fa da padrone ormai da anni.
Ovviamente lo studio è in stadio ancora poco avanzato per affermare con certezza l'esistenza di un nesso causale tra alti livelli di THC e psicosi; è possibile che si tratti di un disagio associato alla cannabis per altri motivi, e non strettamente a causa del THC.
“I nostri risultati sono coincidenti con quelli di ricerche precedenti che mostravano come l’utilizzo di cannabis con alte concentrazioni di Thc abbia effetti più dannosi sulla salute mentale rispetto alle varietà meno potenti”, sottolinea Di Forti. “Si tratta inoltre delle prime stime che indicano in che modo il consumo di cannabis potrebbe influenzare l’incidenza di disturbi psicotici a livello della popolazione”.
Quali sono gli effetti della cannabis sul cervello?
Uno studio condotto dai ricercatori del Center for Brain Health dell’università del Texas ha dimostrato che fumare marijuana regolarmente può avere effetti sulla struttura del cervello e sul volume della materia grigia.
La ricerca pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences ha messo in evidenza le differenze cerebrali tra i fumatori abituali di marijuana e soggetti che non hanno mai fatto uso, attraverso la combinazione dei risultati di tre diverse tecniche di risonanza magnetica cerebrale, con cui i cervelli sono stati messi a confronto. I ricercatori hanno verificato che chi fuma cannabis almeno tre volte a settimana, per almeno dieci anni e fin da quando era giovane (iniziando tra i 14 e i 30 anni), ha mediamente meno materia grigia nella zona della corteccia orbito-frontale, che è la parte associata ai processi decisionali, alle dipendenze, alla motivazione e all’apprendimento.
Tuttavia, secondo la ricerca, i fumatori abituali di cannabis mostrano una maggiore connettività cerebrale, che è in parte in grado di compensare la riduzione del volume di materia grigia.
Le differenze rispetto ai non fumatori, inoltre, sarebbero più marcate nei soggetti che hanno mantenuto più a lungo il vizio e che, soprattutto, hanno iniziato a fumare durante l’adolescenza.
Gli effetti sulla memoria
La memoria è un sistema complesso, composto da due elementi: la memoria a breve termine, e cioè la capacità di conservare un'informazione in modo che sia disponibile per un breve lasso di tempo (15-30 secondi), e la memoria a lungo termine, che è la capacità di immagazzinare e ricordare informazione per periodi di tempo più lunghi.
Uno dei più evidenti effetti della cannabis è l'influenza che ha sulla memoria a breve termine. Quando si è sotto l'effetto della cannabis diventa più difficile creare dei nuovi ricordi, ma anche conservare informazioni importanti come quelle sullo spazio che ci circonda. La memoria a breve termine ci permette anche di fornire risposte immediate in base al contesto: facendo uso di marijuana questa facoltà viene meno in parte o del tutto e diventa difficile interagire, sopratutto in un ambiente non familiare.
Un'altra declinazione della memoria a breve termine è la cosiddetta memoria di lavoro e cioè la capacità di rispondere agli stimoli e fornire informazioni immediate alle sollecitazioni esterne. Ovviamente dipende anche dal lavoro svolto, ma se è richiesta una capacità di intervento tempestivo sarà meglio non assumere cannabis.
Uno studio del 2004 eseguito da ricercatori del San Francisco Brain Research Institute (Istituto per la Ricerca sul Cervello) e SAM Technology, ha testato la memoria di lavoro di 10 adulti immediatamente dopo il consumo di cannabis. Dopo aver consumato cannabis, i partecipanti venivano sottoposti ad un test spaziale “N-back”, che richiedeva loro di esaminare una serie di simboli ed immagini, ed identificare quelli che erano stati loro mostrati appena pochi istanti prima. Le risposte di coloro che avevano consumato cannabis furono registrate come molto più lente ed imprecise rispetto a quelle di coloro che avevano ricevuto un placebo.
Gli effetti della cannabis sulla nostra memoria a lungo termine, purtroppo, sono molto più preoccupanti. Uno studio del 2006, pubblicato nel JAMA Internal Medicine Journal, ha trovato una forte correlazione fra l'esposizione a lungo termine alla marijuana ed il deterioramento della memoria verbale in persone di mezza età (fra 18 e 30 anni). Lo studio comprendeva un campione di più di 5000 partecipanti e scoprì che l'uso di marijuana a lungo termine aveva un impatto significativo sulla memoria verbale. In media, per ogni 5 anni di uso di cannabis, il 50% dei partecipanti dimenticava 1 parola su una lista di 15 presentata loro come parte del test.
Combustione e rischi polmonari
La cannabis brucia come il tabacco ed identici sono anche i risultati della sua combustione. La combustione genera sostanze cancerogene che vengono assorbite dall'organismo; bruciando, le molecole della cannabis si scompongono e danno vita ai cosiddetti radicali liberi, che generano tossine molto dannose. Analisi mirate hanno dimostrato che il fumo sprigionato dagli spinelli contiene solo un 10% di cannabinoidi, mentre la parte rimanente è costituita da prodotti combustibili, tra cui i cosiddetti PAH, gli idrocarburi policiclici aromatici.
La vaporizzazione è di certo la strada migliore, sia per tutelare la nostra salute che per essere sicuri di assumere la maggior quantità di principio attivo possibile. Con la vaporizzazione è possibile controllare la temperatura a cui la cannabis viene sottoposta, con il risultato di salvare buona parte di cannabinoidi e terpeni e di non sottoporre l'organismo a sostanze dannose. Il THC viene liberato sottoponendo le infiorescenze a una temperatura di circa 157°, con il risultato di assumere circa il 46% della sostanza contenuta nell'erba vaporizzata.
Contrariamente al fumo sprigionato dallo spinello, il vapore contiene circa il 90% di cannabinoidi e solo il 10% di altre sostanze, comunque meno dannose di quelle generate dalla combustione ad altissime temperature.
Rischi in gravidanza
L'uso di cannabis in gravidanza è stato ed è oggetto di molti studi, con cui gli scienziati sperano di mettere in luce i rischi per il feto e per la madre legati all'assunzione della sostanza. Uno studio del 2014 ha analizzato 20.000 casi di anencefalia manifestatisi tra il 1997 e il 2005 ed ha evidenziato che il tasso di incidenza della patologia era doppio nelle madri fumatrici di marijuana. L'anencefalia è un raro difetto del tubo neurale che provoca gravi malformazioni cerebrali.
Gli effetti della cannabis sul feto sono talmente seri che ogni donna dovrebbe fermarsi a riflettere attentamente prima di consumare marijuana. Sembra che il THC interferisca in qualche modo sullo sviluppo del cervello: una ricerca canadese, condotta su bambini di 4 anni per 10 anni, ha rilevato che l'uso di cannabis durante la gravidanza influisce negativamente sulla memoria. I figli nati da madri fumatrici hanno ottenuto punteggi inferiori nei test mnemonici. Tuttavia, nel complesso la loro intelligenza non sembrava aver subito danni. Quando i bambini sono stati esaminati nuovamente, all'età di 10 anni, hanno mostrato un tasso leggermente superiore di iperattività, disattenzione e impulsività.
Uno studio condotto nel 2014 su ratti da laboratorio ha dimostrato che l'esposizione al THC nel grembo materno alterava le connessioni tra cellule cerebrali. Altri studi hanno stabilito in modo piuttosto definitivo che la marijuana può alterare lo sviluppo fetale umano, soprattutto tra la 18ª e la 22ª settimana di gestazione.
Sebbene le evidenze riguardanti l'influenza della cannabis sullo sviluppo cerebrale del feto siano ancora da consolidare, i pediatri statunitensi sono convinti della necessità di «consigliare alle donne in gravidanza o che allattano di evitare la marijuana», come già fanno con il fumo e le bevande alcoliche. Soprattutto in America, dopo la legalizzazione, molte donne hanno riferito di aver fatto ricorso alla cannabis per attenuare le nausee del primo trimestre di gravidanza; l'indicazione medica riguarda perciò tanto l'uso ricreativo quanto quello terapeutico.
Cannabis e ansia
L'assunzione di cannabis viene spesso associata a disturbi d'ansia, soprattutto a causa degli effetti “collaterali” del THC.
Uno studio condotto nel 2009, denominato “Social Anxiety Disorder And Marijuana Use Problems: The Mediating Role Of Marijuana Effect Expectancies”, elenca vari indizi che legano la cannabis all'insorgenza della cosiddetta ansia sociale. L'ansia sociale è la paura di essere giudicati, rifiutati e valutati negativamente durante eventi o ritrovi sociali. La definizione di disturbo d'ansia sociale è cambiata notevolmente nel corso del tempo: all'inizio del 20° secolo veniva definita come fobia sociale o nevrosi sociale.
Successivamente si distinse tra disturbo d'ansia generalizzato e disturbo d'ansia specifico, per poi tornare a classificarlo semplicemente come SAD, o disturbo d'ansia sociale.
I ricercatori hanno concluso che i dati raccolti “rafforzano l'ipotesi che il SAD sia legato a problemi con la marijuana, ed offrono una chiara visuale dei meccanismi alla base di questa fragilità". Lo studio ammette che solitamente il consumo di cannabis non è associato a disturbi d'ansia in generale, tuttavia si ipotizza che "alcuni particolari sentimenti negativi potrebbero essere associati a problemi con la marijuana, e il SAD sembra essere uno di questi".
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